Ciao a tutti! Se mi seguite su instagram lo sapete già: insieme ad altri blogger sabato ho avuto la grande opportunità di intervistare Jay Kristoff a Milano! Sicuramente avete già sentito parlare della trilogia di Nevernight, ma magari in questa intervista scoprirete qualche curiosità di cui non avevate idea... cominciamo?
“Partendo dall’inizio, come è nato l’idea del mondo di Nevernight e come si è sviluppata nei tre volumi?”
Ero fuori con gli amici alla vigilia di Capodanno e due mie amiche hanno iniziato a discutere su una parolaccia, la C-bomb (cunt, cioè i genitali femminili), in particolare su se fosse offensiva o meno. Io ne sono rimasto fuori ma l'ho trovato molto interessante, ho trovato interessanti i loro punti di vista. Mi è rimasto impresso nella memoria e quando sono andato via, qualche giorno dopo, ho scritto una scena che poi è la scena alla fine del capitolo 5 di Nevernight in cui Mia e Tric hanno la stessa discussione. E alla fine di quella conversazione non sapevo veramente chi fosse Mia e quindi ho scritto un libro intero per scoprirlo. Parlando invece dell'ambientazione io sono un grande nerd per la storia dell'antica Roma e in particolare della dinastia Giulia. Di conseguenza era un'era di cui non avevo ancora parlato ma di cui sapevo tanto e potevo usare tanti dettagli storici che conoscevo e metterli nel setting. Ho iniziato a pensare a Giulio Cesare, un famoso generale che si è ribellato, e lui ebbe successo nella sua ribellione e il personaggio di Mia è stato quasi un esperimento basato su cosa sarebbe successo alla famiglia di Giulio Cesare se la sua ribellione non fosse stata un successo. Lui aveva una moglie e una figlia e mi sono chiesto cosa sarebbe successo loro.
“Perché hai voluto iniziare la serie di Nevernight comunicando subito ai lettori la morte della protagonista facendo così un spoiler sul finale?”
Perché sono... cattivo? Penso di aver voluto dare da subito l'idea che lei fosse una figura leggendaria e che persone che conducono una vita così violenta alla fine muoiono in maniera violenta. Volevo creare nel lettore l'idea che il viaggio che stava affrontando aveva una fine definita, che il personaggio di cui il lettore in teoria si sarebbe dovuto innamorare sarebbe morto, creando un senso di anticipazione e di paura su come sarebbe successo. Era un modo per rendervi emozionati per la storia, per farvi capire che nessuno nella storia era salvo, che se la protagonista può morire tutti possono morire. E io, perché mi piaccia un libro, devo di solito essere spaventato per il personaggio, devo essere un po' spaventato all'idea di girare la pagina perché non so se voglio sapere cosa accadrà. Era un modo per dare un senso di anticipazione, paura e emozione nel lettore... e perché sono cattivo.
“Quando hai finito di scrivere la trilogia cosa hai provato, ma soprattutto avevi idea del grande successo che avrebbe avuto?”
Mi sono sentito triste quando l'ho finita. Credo che questa sia la terza trilogia che ho finito e non sono mai triste, sono sempre emozionato per il prossimo progetto che devo cominciare. Sono emozionato ora per la nuova serie su cui sto lavorando, ma penso che ci sia più me in questa serie e in questi personaggi che in altre cose che ho scritto, e quindi quando l'ho finito mi sono sentito come se stessi dicendo addio ad una parte di me stesso. Ma allo stesso tempo ero consapevole che Mia, come personaggio, significa molto per molti lettori e mi sono anche sentito triste per loro. Nell'ultimo capitolo, il Dicta Ultima, in cui lo scrittore sta parlando al lettore del viaggio a cui ha preso parte, c'è molto di me nei sentimenti di cui sta parlando il narratore. Non è solo il narratore a dire addio, ma ero io a dire addio alla serie. Ricordo di essere stato particolarmente triste quel giorno e io di solito non mi intristisco quando scrivo, ma avevo gli occhi lucidi mentre scrivevo le ultime pagine. Immagino che sia come un genitore si sente quando manda i figli al college, devi dirgli addio in modo che possano entrare a far parte del mondo. Ero contento del libro e del modo in cui la serie è finita, ma ero triste nel dirgli addio. Che per me è inusuale, sono piuttosto freddo di solito.
Non sapevo che sarebbe stato così di successo, no. Quando l'ho pubblicato in America il mio editore non ha speso così tanto nel marketing della serie, mentre in Italia ha avuto un lancio pazzesco, con molti investimento. Il libro è cresciuto nel corso di due o tre anni, grazie ai blogger, a instagram e agli youtuber. È diventato quello che è diventato grazie al passaparola; più di ogni altra serie a cui ho lavorato il successo di questa serie è dovuto ai lettori, alle persone che sono andati dai loro amici e glielo hanno consigliato, alle persone che hanno fatto post su instagram e anche a coloro che sono andati a consigliarlo agli estranei per la strada. Sono in debito con tutti voi e con tutte le persone nel mondo che hanno contribuito a renderlo un successo quindi grazie mille.
“Sapevi già come si sarebbe conclusa la storia di Mia dalla prima stesura del primo libro?”
No. Ci sono due tipi di scrittori al mondo, si chiamano plotters (plot - trama) e pantsers (fly by the seat of your pants - un modo di dire che fa riferimento a fare qualcosa senza un piano), oppure architetti e giardinieri. I plotter progettano tutto meticolosamente prima di mettersi a scrivere e invece in pantsers vanno dove li porta l'ispirazione. Io sono decisamente uno della seconda categoria. L'analogia che uso di solito è questa: sono in macchina e sto guidando verso la città, vedo la città in lontananza ma non so ancora che strada devo fare per arrivarci. Sapevo che Mia sarebbe morta perché lo avevo scritto all'inizio ma non sapevo bene come e non sapevo chi sarebbe stato il narratore. C'erano tre possibilità e il narratore che avevo pensato all'inizio in realtà è finito a non essere il narratore ma ad essere qualcun altro. Quando le cose sorprendono me in quanto autore ci sono più possibilità che sorprendano anche il lettore. Questa è la parte eccitante del creare qualcosa per me, non sapere bene come le cose andranno a finire. Avevo una vaga idea di come sarebbe finita ma non era molto chiara. Ho scritto tre finali differenti e quello che ho finito per usare è stato decisamente quello meno impressionante. Il terzo che ho scritto era veramente veramente oscuro, dark, e molto triste e nessuno di voi avrebbe mai voluto leggerlo.
Trovo la storia mentre la racconto, viaggio nel buio diciamo.
“Qual è stato il momento più difficile da scrivere nell’intera trilogia?”
Le scene di sesso. Il che è molto strano, perché mia mamma legge tutti i miei libri e mia moglie è il mio principale critico. Ho cinque persone a cui mando tutti i miei scritti prima di mandarli al mio editor e mi mandano delle note su cosa funziona e cosa no. Mia moglie è la prima a cui mando tutto, per cui mandare delle scene di sesso a tua moglie è strano e non l'avevo mai fatto prima. Non sapevo bene cosa stessi facendo e quando l'ho deciso ho chiesto a mia moglie, che legge tanti romance e tanta letteratura erotica insieme a delle amiche, di mandarmi il Best of di quello che leggono. Poi ho passato praticamente tre giorni seduto in casa mia a leggere pornografia ed è stato veramente strano.
L'idea che i tuoi amici, tua mamma e tua moglie leggano le tue scene di sesso è strana.
“Luce e Oscurità, due realtà contrapposte che in Nevernight assumono sfumature nuove e particolari. Da dove è nata l’idea di questa battaglia ideologica?”
Immagino che sia un topos fantasy abbastanza classico che la luce venga considerata buona e il buio cattivo e immagino di aver voluto sovvertire questo ordine. Volevo dare a Mia il potere di manipolare le ombre perché mi sembrava che le si addicesse come personaggio, come assassina. Volevo mettere però anche dei limiti a lei come personaggio, per cui lei ha tutti questi poteri ma il mondo in cui vive non ha ombre. Altrimenti sarebbe diventata una specie di Dea e a quel punto solo un altro Dio avrebbe potuto sconfiggerla. Poi probabilmente volevo esaminare l'idea che anche se la luce è associata col bene, in ogni sistema in cui è fuori controllo, è sbilanciata questo porta a troppo controllo dalla parte della luce. Quando le persone che sono in controllo pensano di star sicuramente facendo la cosa giusta è probabile che invece non sia così, che la luce poteva essere corrotta. Volevo mostrare che la vita non è bianca e nera, ci sono delle sfumature di grigio. E che anche le persone sono sfumature, che le cose sono più complicate di come sembrano all'inizio.
“È davvero giusto associare le ombre alle paure che ci portiamo dentro? O, come ci insegna Mia, sono piuttosto un’altra faccia della luce? Quella più densa, il risultato di ferite, dolori, solitudini?”
Nel libro si dice che non esistono ombre senza la luce, e più intensa la luce più sarà oscura sarà l'ombra. Di solito la paura viene associata a qualcosa di negativo che ci ferma, che ci impedisce le cose che vogliamo fare. Ogni tipo di sentimento, che sia la paura, la rabbia o la tristezza, se ce n'è troppo allora ci saranno dei problemi, ma un po' di paura può darci la motivazione giusta per andare avanti. Io sono una persona che si arrabbia molto, ma tendo a focalizzare questa rabbia nella mia creatività, a sfruttare questa mia rabbia per scrivere. All'inizio Mia non ha paura, perché le viene sottratta, ma nel corso del libro capisce che la paura è utile nella vita, che fa parte della vita. Quando amiamo una persona abbiamo paura che scompaia, che se ne vada, quindi fa decisamente parte delle nostre emozioni. Essere vivi significa anche avere un po' paura, l'importante è non lasciarci sopraffare da questa paura.
“A chi ti sei ispirato per creare il personaggio di Mia e cosa c’è di tuo in lei?”
n realtà non c'è una vera e propria persona, nel mondo reale, alla quale mi ispiro, anche perché quando un autore inizia a descrivere gli amici nei suoi romanzi queste amicizie sono destinate a rompersi, perché in particolare nei miei libri succedono delle cose terribili ai personaggi.
Mia è una combinazione di varie persone importanti nella mia vita: mia madre, mia sorella, mia moglie e alcune amiche. Non sono delle assassine, ma c'è molto di loro in Mia.
C'è anche molto di me in Mia, in particolare direi che è la mia versione teenager femminile. C'è molto di me in come Mia si vede all'interno del mondo, le cose che sono importanti per lei, i suoi problemi, le difficoltà che si trova ad affrontare. Lei è una dura all'esterno, ma dentro ha un lato più umano, più soft, farebbe qualsiasi cosa per le persone che ama, ed io sono proprio come lei nella mia vita. Sembro un po' burbero, ma in realtà sono un orsacchiotto. Mi rivedo anche nel personaggio di Aidan della serie di Illuminae.
“Ci hai mostrato in ogni volume una Mia diversa, ma secondo te quale tra i tre volti è quello che le si addice di più?”
Questa è una buona domanda, anche se difficile! Non so se ci sia un vero volto di Mia, un suo vero volto. Sicuramente è diventata una persona migliore alla fine del terzo volume. Ha una migliore comprensione di chi è come persona e di cosa sia l'amore, perché in effetti nel primo libro c'è sì l'esperienza con Tric, ma non so se lei alla fine fosse davvero innamorata di lui. Nel primo libro Mia è concentrata sul suo obiettivo, non sa quale sarà l'impatto delle sue scelte, ma sa che ha una montagna da scalare e non le importa cosa succederà dopo, sa solo che dovrà raggiungere il suo obiettivo. Nel libro tre invece ha una visione più ampia della vita e del suo essere nel mondo; è una persona più equilibrata e sana nel terzo libro rispetto al primo uno, ma non so se quello sia effettivamente il volto giusto di Mia. In ogni libro Mia deve possedere quel determinato volto e diciamo che la cosa che apprezzo di Mia è che non è mai scesa a compromessi, dal primo libro è sempre stata motivata dalla vendetta, dalla rabbia, dall'ingiustizia subita e continua ad esserlo fino alla fine.
“Messer Cortese è uno dei personaggi che mi ha colpita di più, a parte Mia, ovviamente. Ti sei ispirato ad una persona o animale particolare? E perché hai scelto di dargli proprio la forma di un gatto?”
La mia fonte d'ispirazione è stata Emily the Strange. Non so se la conoscete, una ragazzina sempre associata ad un gatto. È un personaggio che ho visivamente associato a Mia: non ho mai letto Emily the Strange, ma ho sempre visto le immagini anche sulle magliette dei miei amici o sugli zaini e quindi ho associato la figura del gatto-ombra al personaggio di Messer Cortese. Volevo creare questo legame con la figura del gatto, nonostante io non sia un fan vero e proprio dei gatti, preferisco i cani, però mia moglie preferisce i gatti. Ho cercato di pensare a come renderlo un personaggio importante per Mia e quindi gli ho dato l'abilità di portare via la sua paura. È un personaggio fondamentale per Mia, una sorta di coscienza, come il grillo parlante di Pinocchio, perché spesso Mia non ha paura delle conseguenze delle proprie azioni. Quindi Messer Cortese è lì per ricordarle di stare attenta, di non fare delle sciocchezze.
Però visualmente l'ispirazione è stata Emily the Strange, perché visivamente era molto interessante.
“Se tu fossi un tenebris, che forma e caratteristiche avrebbe il tuo passeggero? E tra le abilità utilizzate dai vari personaggi tenebris, qual è quella che vorresti padroneggiare?”
Io ho un piccolo Jack Russell, piccolino. E lui è una delle mie cose preferite nel mondo. Si chiama Sam e quando lo porto a passeggio è molto buffo perché è proprio piccolo mentre io sono alto, perciò quando passeggiamo insieme siamo proprio buffi insieme. Tra i personaggi del libro sceglierei Messer Cortese, perché è molto più sensibile e sa consigliare Mia nel momento del bisogno. È più utile avere un personaggio che dice quando si sta facendo una stupidaggine. Eclissi, invece, è un po' come il cane (è basato sul mio cane), sempre entusiasta della vita, ed è quel tipo di personaggio che potrebbe dirti "Andiamo a rubare quella macchina della polizia!", invece Messer Cortese è più saggio e ti avviserebbe che potresti andare in prigione per questa cosa, quindi è sicuramente più sano avere accanto un personaggio così saggio.
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La mia foto con Jay e la mia domanda! |
“Qual è il tuo personaggio preferito della serie, a parte Mia? E quale pensi che ti rappresenti di più, sempre oltre a Mia?”
Il mio personaggio preferito è probabilmente Mercurio. E c'è molto di me in Mercurio. I due personaggi nella storia che hanno più di me, in loro, sono Mia e Mercurio. Mia è me da giovane e Mercurio è me da vecchio. C'è molto di me in lui e come dicevo nel terzo libro la linea inizia ad assottigliarsi tra me come autore e il narratore. Il modo in cui il libro rompe la quarta parete e il lettore è sempre più consapevole di stare leggendo una storia dentro una storia, in questo senso c'è molto di me nel libro e nel modo in cui Mercurio vede se stesso e la sua relazione con Mia. Ma anche nel suo comportamento in generale. Se volete sapere come sarò in vent'anni è Mercurio e se volete sapere com'ero da giovane è Mia.
“In particolare nella trilogia di Nevernight, ma anche in altri tuoi libri, ti sei mai pentito di aver scritto qualcosa? Se potessi tornare indietro, cambieresti qualcosa nella storia? Come la Rowling che si è pentita di alcune morti”
No, penso di no. Tutte le morti che ci sono nei tre volume hanno un perché, una ragione, sia per motivi per legati alla trama in sé o perché la loro assenza è importante per Mia o per la storia. C'è un personaggio, Cassius, che muore nel primo libro, e molti lettori mi hanno chiesto il perché, visto che era un personaggio interessante e vogliono sapere di più su di lui, ma in realtà lui ha tre caratteristiche: è alto, che ha lunghi capelli scuri ed è misterioso. Se io svelo troppe cose su di lui non è più misterioso, rimane soltanto un tizio alto con i capelli lunghi. Forse non avrei dovuto ucciderlo, magari molti lettori avrebbero voluto che continuasse a vivere e vedere la sua relazione con Mia crescere però in realtà per me era un po' un ostacolo, perché lui aveva tutte le risposte che servivano a Mia, quindi ho dovuto eliminarlo per mandare avanti il libro. Non mi è dispiaciuto averlo ucciso, ma capisco anche i lettori.
"L'ambientazione in un romanzo fantasy/scifi è molto importante e quella di Nevernight non fa eccezione. Quanto tempo ci è voluto e quali difficoltà hai incontrato per creare questa struttura così particolare?”
Siccome sono un autore che decide le cose mentre le scrive quando sono arrivato al terzo libro non avevo ancora finito di descrivere l'ambientazione. Sapevo che c'erano dei luoghi in cui la storia si sarebbe sviluppato, ma non avevo visitato nella mia mente tutta l'estensione dell'ambientazione.
È un processo che segue il flusso della scrittura, sia per la trama ma anche per l'ambientazione.
Per quanto riguarda invece la struttura politica e religiosa che regola il mondo è stato più facile perché sapevo che stavo traendo ispirazione dalla storia romana e alla sua repubblica, alla dinastia Giulia, quindi per quello avevo un'idea ben precisa.
Sono piuttosto invidioso di quegli scrittori che sin da subito hanno chiaro quello che andranno a scrivere, io non sono così intelligente, anzi a volte mi è persino capitato di cambiare strada: avevo intrapreso dei percorsi e poi alla fine cambiavo idea e mi toccava tornare indietro, dopo essermi reso conto di aver sbagliato e aver preso la strada sbagliata. Nel primo libro ho cancellato 80.000 parole, su 160.000, quindi ho scritto una metà di un altro libro che non ha mai visto la luce. Poi ho deciso di cancellarla perché non mi sembrava utile, ma non è stato un lavoro sprecato perché mi ha aiutato a informarmi sulla costruzione di questo mondo. A volte però quando decidi mentre scrivi finisci per scrivere cose che non ti servono.
"Hai creato la Chiesa Rossa, una scuola molto particolare, quindi come hai avuto l'idea delle prove, delle materie, della struttura della Chiesa. E c'è stato qualcuno che ha considerato disturbante una scuola che insegni a dei ragazzini come uccidere?"
L'idea della Chiesa Rossa è stata molto naturale, sicuramente in un'ambientazione in cui si parla di assassini c'era bisogno di un'istruzione che insegnasse come diventarlo. Ho cercato di immaginare le competenze che dovesse avere un assassino in ambito medievale, ad esempio uccidere velocemente, le abilità con armi, ecc...
Gli insegnanti riprendono l'arte della scuola e sono presenti in molti libri fantasy, come Il nome del vento o Harry Potter, e la scuola deve riflettere l'atmosfera del libro. In più, la Chiesa Rossa è anche un società segreta e quindi c'è la difficoltà di tutelare chi insegna, perché le competenze che insegnano possono ritorcersi contro gli insegnanti stessi, perciò ho introdotto le regole particolari, come quella di Fedeltà, di Lealtà.
Per quanto riguarda le opinioni degli altri, in generali tutti hanno concordato che fosse una bella idea, non ci sono state critiche particolari. È un po' come Harry Potter, ma con l'elemento in più del pericolo, quindi in linea con l'atmosfera oscura del libro e mi piace molto che non tutti possano diventare Lame.
“Quali influenze hanno contribuito a rendere il tuo stile di scrittura così originale e innovativo?”
William Gibson è uno scrittore a cui mi sono ispirato molto stilisticamente, è uno scrittore che usa frasi molto frammentate e a cui mi sono ispirato per il mio stile. Inoltre usa il ritmo della scrittura in modo molto intelligente, perché abbina il ritmo di scrittura al tipo di scena: se c'è una scena con molta azione allora usa frasi più brevi, mentre nelle scene drammatiche si sofferma sulle descrizioni e sui dettagli. È stato un'influenza grandissima per il mio lavoro e il primo scrittore che ho studiato a fondo per formarmi in quanto scrittore.
Un'altra influenza per me è la musica, oltre che altri scrittori: quando scrivo ascolto sempre la musica, non con le parole perché mi distraggono, ma uso musiche che evochino quello che scrivo. uno dei miei musicisti preferiti è l'italiano Ludovico Einaudi e se stavo scrivendo un pezzo di azione ci abbinavo un certo pezzo musicale, ste stavo scrivendo un pezzo introspettivo cambiavo brano di conseguenza. Anche le colonne sonore dei film, quelle orchestrali: ad esempio quando ascolto la colonna sonora di Avengers so che starò scrivendo una scena movimentata, piena d'azione.
Le band che ascolto sono un'altra influenza che mi serve, perché le parole di queste canzoni evocano idee che possono essermi utili per la scrittura. Ma non le ascolto mentre scrivo, solo mentre penso alla storia.
“La storia di Mia ha appassionato tantissimi lettori, anche quelli che leggono generi diversi, e credo sia stato per l'intrattenimento fuori dall'ordinario. Il fatto di aver creato un narratore che parla con il lettore è nata come cosa per appassionare lettori diversi?”
No, non era quello l'intento. Quando ho iniziato a scrivere il libro la voce del narratore era molto forte e ho dovuto ridurla. Mi piace comunque l'idea di un personaggio che racconta la storia, e che poi ne faccia parte. Qui le note per me sono fondamentali , perché le uso per costruire il mondo fantastico. Ci sono tre ragioni per cui sono importanti: innanzitutto perché fanno ridere il lettore anche nei momenti meno opportuni, come quelli di alta tensione in cui le note ti fanno ridere perché il momento è terribile. La seconda ragione è che tutti i lettori che leggevo da piccolo e che mi hanno ispirato, come Tolkien ad esempio, in cui l'autore passava molto tempo sul worldbuilding, dedicando pagine e pagine alle descrizioni, cosa che a me piace molto, ma so che non tutti i lettori apprezzano, perciò tramite le note a piè di pagina ho potuto nasconderlo un po', permettendo ai lettori non interessati di saltarle. In terzo luogo, le note danno anche degli indizi importanti, ovvero che il narratore è consapevole di star raccontando una storia, come se il libro stesso fosse consapevole di essere una storia, quindi ho cercato di raccontare la storia che volevo raccontare e non mi sono focalizzato sul cercare di accalappiare lettori diversi, e il narratore l'ho dovuto rivedere strada facendo, perché all'inizio era troppo intrusivo.
“Tra le tue serie di maggiore successo ce ne sono alcune classiche e alcune scritte a quattro mani. Quali sono le peculiarità di questi due diversi modi di creare una storia? Quali sono state le difficoltà nel passare da una storia come Illuminae a una storia come Nevernight?”
Penso che la differenza principale è che Illuminae è stato scritto per giovani adulti e Nevernight per adulti. Si tratta di due tipi diversi di scrittura, e il fatto che Illuminae sia stato scritto con Amie Kaufman ha cambiato molto le cose, perché io tendo a essere più dark e pessimista rispetto a lei, quindi quella trilogia è il risultato dell'incontro tra questi due modi diversi di vedere il mondo, lein è molto ottimista rispetto a me. Inoltre, il pubblico è diverso: Illuminae è uno ya, mentre Nevernight no, quindi ci sono cose che non si possono scrivere in un libro per giovani adulti, anche se adesso questi limiti sono stati in parte superati, però il tono con cui si scrivere è diverso. Per i giovani adulti non bisogna oltrepassare determinate soglie, mentre con Nevernight sono davvero io che mi racconto, consapevole di poter usare un tono più dark, visto che scrivendo per un pubblico adulto, non devo pensare al tono o ai temi che sto esplorando. Non significa che negli ya non si possano affrontare certi argomenti, ma con Nevernight sono io senza filtri.
Una volta quando stavo firmando le copie mi è capitato di vedere una bambina di 8 anni con in mano Nevernight, e mi sono spaventato e le ho chiesto dove fosse sua madre, ma in realtà lo stava solo tenendo per sua sorella.
“Nella traduzione delle tue opere, ti interessi che determinati passaggi mantengano un certo pathos o che comunque trasmettano le tue intenzioni? Qualche fan ti ha mai fatto notare dei -lost in traslation-?”
Sì, però bisogna fidarsi dei propri editori: quando viaggio chiedo sempre alle persone che magari hanno letto sia la versione originale che quella tradotta come fosse la traduzione, se ne erano contenti. Ho un gruppo di amici scrittori e ci confrontiamo anche su quali editori abbiano i traduttori migliori perché uno scrittore passa tantissimo tempo a scrivere, ore, giorni e settimane, i libri diventano come figli, e quindi dare i propri figli a uno sconosciuto per la pubblicazione in un'altra lingua è un po' difficile e preoccupante. Però alla fine bisogna fidarsi dei propri editori e scegliere persone a cui importi della storia tanto quanto lo scrittore, e quando ho conosciuto Marco (che è l'editor di Oscar Vault, parte di Mondadori) ho capito dopo cinque minuti che ci parlavo che era la persona giusta, perché aveva la passione giusta da mettere nel progetto, che capiva, e quindi sapevo già che sarebbe stata un'ottima scelta.
“Come ti sei approcciato alla scrittura? Come hai capito di voler diventare uno scrittore?”
Il processo della scrittura è un processo a cui mi sono approcciato quando avevo circa 12 anni, iniziando a giocare a Dangeons & Dragons. E per chi non ci ha mai giocato è una specie di narrazione di gruppo, sei tu che dici al narratore cosa sta succedendo. Ho poi iniziato a lavorare nelle pubblicità, scrivendo i copioni per gli spot televisivi: in un certo senso raccontavo storie, anche se di 30 secondi, molto corte, però la struttura è la stessa del romanzo, con un inizio, un corpo e una fine, come se fosse un romanzo molto compresso. È stato un grande esercizio per me come scrittore, perché ho imparato a raccontare una storia in 30 secondi. Fatto questo, si è sicuramente in grado di farlo anche in 160.000 parole. Quando tornavo a casa, però, ero stanco per scrivere altro e a circa 35 anni ho iniziato a provare un'insoddisfazione nei confronti del mio lavoro perché stavo sprecando la mia energia creativa cercando di convincere i consumatori a comprare carta igienica o cereali per la colazione, quindi non ero molto soddisfatto, volevo qualcosa che fosse totalmente mio, un ruolo più importante di cui avere anche il controllo al 100%.
“Visto che i diritti di diverse tue opere sono stati acquisiti per eventuali trasposizioni cinematografiche/televisive... quale personaggio credi che potrebbe rendere meglio sullo schermo? Quale credi sia, invece, il più difficile da trasporre?”
Sicuramente il personaggio più difficile sarebbe quello di Aidan (da Illuminae) perché ha molti monologhi interni ed è un personaggio molto complesso, difficile da rappresentare perché ha moltissimi pensieri che dovrebbero essere poi esplicitati per lo schermo, sarebbe un passaggio un po' difficile. Il personaggio più interessante che non vedo l'ora di vedere è Mia, soprattutto per i suoi poteri legati alle tenebre e alle ombre, in particolare nel terzo volume quando c'è il verobuio. Stanno facendo delle prove con Piera Forde per la webserie che uscirà tra poco su Youtube e ho visto alcune anteprime e sono molto soddisfatto per l'effetto delle tenebre che non era semplice da rendere, e per Messer Cortese. Non vedo l'ora di vedere l'effetto finale.
“Ci puoi anticipare qualcosa sulla tua prossima serie che uscirà l’anno prossimo?”
Certo! Sto scrivendo Empire of the Vampire che uscirà l'anno prossimo anche in Italia con Oscar Vault, in concomitanza con l'America: è un po' simile a Nevernight, un fantasy epico molto dark e si basa su un evento veramente accaduto nel 536 d.C., quando c'è stata probabilmente un'eruzione vulcanica che ha causato un esplosione di materia andata nell'atmosfera e che ha oscurato il sole per 8/9 mesi. Questo accadimenti ha causato la morte di raccolti, guerre e carestie. In questo mondo che sto creano i vampiri possono circolare liberamente: Gabriel è il tipico eroe, perché fa parte di un ordine religioso che dà caccia ai vampiri e il libro inizia nel momento in cui deve essere giustiziato perché ha ucciso l'imperatore dei vampiri ed è incaricato di raccontare la sua storia fino a quel momento. È un mix di ispirazioni tratte da Intervista col vampiro (Anne Rice) e Il nome del vento (Patrick Rothfuss). Non so se riuscirò a completarlo per il prossimo anno, ma ci proverò: dopo la tappa in Italia andrò a Praga e li mi chiuderò in casa per un mese a scriverlo.
Sarà un libro illustrato e quindi ritroverete molte delle scene che leggerete anche nelle immagini.
Avete letto qualcosa di interessante? Voi che domanda gli avreste fatto?